L’avvio della procedura fallimentare

Quando il 13 aprile 1983 terminò il regime di amministrazione controllata, la proprietà non aveva ancora presentato un piano di risanamento alle banche e ai creditori, così il presidente del tribunale diede avvio ad un concordato extragiudiziale, in cui si sarebbe pronunciato circa la situazione dell'azienda. Assemblee aperte in fabbrica e cortei dei lavoratori Minganti si svolsero nei giorni successivi, giungendo il 28 aprile a manifestare presso la sede della regione Emilia-Romagna in viale Silavani e a Palazzo d’Accursio, dove discussero con il vice sindaco Gherardi e l’assessore alle attività produttive Castellucci del Comune di Bologna.

Nonostante la possibile continuità produttiva, la chiusura dell’ultimo semestre in attivo e l’inserimento delle Officine da parte della Giunta regionale nell’elenco delle aziende di importanza strategica, il 17 maggio 1983 fu dichiarato il fallimento per la Minganti. Subito i lavoratori diedero il via a turni di presenza in fabbrica, con l’obiettivo di evitare la dissoluzione dell’unità produttiva: nonostante l’erogazione degli stipendi fosse ferma da tre mesi, gli operai si mobilitarono con presidi davanti ai cancelli e proseguendo il lavoro nei reparti e negli uffici.

Anche a seguito della sentenza, la FLM territoriale e gli Assessori al lavoro del Comune, della Provincia e della Regione, continuarono a lavorare affinché si potesse trovare una via d’uscita e salvare l’occupazione e la produzione, proseguendo la ricerca di una banca che pagasse gli stipendi arretrati dei lavoratori e tentando il commissariamento governativo dell’azienda, quest’ultimo richiesto anche dal Comitato cittadino. Sul finire del 1983, dei 270 dipendenti, solo 80 erano in attività.

L’attività produttiva della Minganti proseguì anche l’anno successivo, con una forza lavoro in continua diminuzione, tanto da giungere, nel dicembre 1984, a circa 40 operai attivi su circa 200 addetti, la maggior parte dei quali in cassa integrazione.