Verso il fallimento

L’aggravamento della situazione aziendale cominciò, già nel 1982, a far ipotizzare un possibile fallimento, a fronte anche del drastico calo degli ordinativi. Nonostante l’attività del sindacato ed il confronto con gli enti locali, e con il Ministero dell’Industria, non fu assunta nessuna iniziativa atta a favorire una concreta programmazione settoriale. Una proposta del Temsi, organizzazione di consulenza incaricata di redigere un piano per il rilancio dell’azienda, fu giudicata dal consiglio di fabbrica e dai sindacati “sostanzialmente inadeguata, contraddittoria ed in quanto tale inaccettabile”. Essa prevedeva la produzione standardizzata dei prodotti e non più personalizzata, la messa in cassa integrazione dei dipendenti fino a raggiungere 227 addetti attivi, impostando così una gestione di emergenza che mirava ad un taglio consistente dei costi, senza che vi fosse però una strategia di produzione attiva. La mancata attuazione di politiche aziendali volte al risanamento della crisi, cui si aggiungevano ritardi nel pagamento dei salari, portarono le maestranze a condurre scioperi e manifestazioni per le vie cittadine, ed anche ad organizzare assemblea aperte nei locali adibiti a mensa.

La situazione di costante declino portò la proprietà ad annunciare ufficialmente la possibilità di vendere l’azienda, onde favorirne la ricapitalizzazione ed il rilancio. Un’apposita seduta del Consiglio comunale nel maggio 1982, riunito per discutere sulla crisi della fabbrica, sollecitava governo, imprenditori e banche ad assumere un impegno di politica industriale che potesse permettere la ripresa della produttività ed il superamento della crisi. Il mancato accordo tra le banche aderenti al pool di finanziamento delle Officine Minganti rallentò le operazioni di ripresa.

Nei mesi a seguire non ci fu l’attesa riorganizzazione aziendale ed il suo risanamento restò incompiuto, mentre la direzione approvò nel marzo 1983 un piano di ridimensionamento dell’organico, fermamente rigettato dal sindacato, anche per la mancanza di prospettive di ricollocamento. Ad una settimana dal termine dell’amministrazione controllata (13 aprile), le maestranze ancora operanti presso la Minganti erano 345, mentre la situazione debitoria della società ammontava a circa 13 miliardi.