Un’ulteriore accordo venne stipulato nel 1989, durante la breve proprietà della Black&Decker, che aveva rilevato le attività dell’Emhart; esso prevedeva, tra le altre cose, la costruzione del nuovo stabilimento di Monghidoro, ultimato poi nel 1996, miglioramenti salariali e integrazioni per i lavoratori tri-turnisti.
Tuttavia la Black&Decker non era interessata a mantenere il ramo produttivo dei condensatori e nell’aprile del 1990 cedette l’Arcotronics al gruppo giapponese Nissei. Come per ogni cambio di proprietà i sindacati espressero timori per via delle ristrutturazioni aziendali in corso.
Nel dicembre 1991 furono annunciati 170 licenziamenti su 1.270 dipendenti tramite un comunicato in busta paga. Iniziò così un’altra lunga vertenza che però vide uno strappo tra i sindacati confederali: l’accordo del 13 marzo del 1992 fu firmato solo dai rappresentanti di Fim-Cisl e Uilm-Uil, ma non dalla Fiom-Cgil, il sindacato con più iscritti all’interno dell’azienda.
In cambio della rinuncia alla messa in mobilità dei 170 lavoratori infatti venne concordata l’istituzione di un ulteriore turno notturno, composto in gran parte da operaie donne, opzione che era stata rigettata più volte dalla Fiom. L’accordo prevedeva anche la cassa integrazione straordinaria a zero ore per 70 dipendenti degli stabilimenti di Vergato e Sasso Marconi. Successivamente, una sentenza del pretore del lavoro confermò la validità dell’accordo per i soli iscritti Fim e Uilm.
Nel corso del tempo i contrasti tra la proprietà giapponese e i lavoratori si acquietarono, anche se non mancarono ulteriori episodi di tensione, come nel 2001 quando ci fu un’ondata di scioperi per l’integrativo aziendale.