Salute e ambiente di lavoro: le rivendicazioni degli anni Settanta

Gli anni Settanta videro proseguire le lotte già attive dal Sessantotto, con rivendicazioni sia interne, come la mensa aziendale, ma anche di carattere generale, come lo statuto dei lavoratori. Una rivendicazione fondamentale portata avanti dai lavoratori per l’intero decennio fu quella sulle condizioni di salute. Già nel 1972 un accordo sindacale prevedeva visite mediche specialistiche per i lavoratori pagate dall’azienda.

Per monitorare la situazione dell’ambiente di lavoro, nel 1971 venne avviata un’indagine clinico-ambientale, svolta dal Collettivo di medicina dei lavoratori della Provincia di Bologna, ripetuta poi nel triennio 1976-1978 da parte del Servizio di medicina del lavoro del Consorzio sociosanitario di Casalecchio di Reno. Successivamente fu condotta un’ulteriore ricerca che evidenziò il rapporto tra i processi lavorativi e i rischi per la gravidanza, molto evidenti in un’azienda a maggioranza femminile come l’Arco.

Contestualmente all’apertura dei nuovi impianti produttivi di Monghidoro, Loiano e Vergato si verificarono a più riprese casi di intossicazione e manifestazioni di forme allergiche. Il caso più grave si verificò il 29 maggio del 1977 quando, in seguito ad un incidente occorso nello stabilimento di Vergato, il pretore ne ordinò la chiusura per dieci giorni.

Nel luglio dello stesso anno venne istituita, su pressione del Consiglio di Fabbrica, una Commissione epidemiologico-clinica composta da rappresentanti sindacali, operatori del Servizio di medicina del lavoro del Consorzio sociosanitario e medici del reparto di gastroenterologia del Policlinico Sant’Orsola, con la collaborazione dell’Istituto Ramazzini.

Le indagini confermarono la presenza di molteplici fattori di rischio, derivanti in particolar modo dall’uso della resina epossidica nelle lavorazioni. Più in generale l’alta concentrazione di sostanze sotto forma di polveri, fumi e gas ma anche la stessa organizzazione degli spazi rendevano insalubre l’ambiente di lavoro. Ciò si manifestava in maniera più evidente negli stabilimenti di Vergato, Monghidoro e Loiano, dove venivano trasferiti macchinari obsoleti e processi produttivi tecnologicamente arretrati.