I lavoratori di fronte al fallimento aziendale

Alle diverse proposte avanzate per la salvaguardia dell’occupazione e della continuità produttiva del gennaio e febbraio 1981 fece seguito la decisione del Tribunale di Bologna che, il 13 marzo successivo, respinse la richiesta avanzata dalla direzione e l’affittanza alla società Gemma, avviando la procedura fallimentare e, contestualmente, l’esercizio provvisorio con la gestione straordinaria dello stabilimento sino al successivo 30 giugno: la sentenza fu salutata con favore dai lavoratori e sindacati, che videro l’opportunità di ricercare nuove figure imprenditoriali in grado di rilanciare l’azienda.

A seguito della dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Bologna, i lavoratori della Curtisa continuarono a lavorare nello stabilimento posto in esercizio provvisorio per un anno. Nel marzo 1982 si profilò la possibilità che la società milanese Sicop acquistasse la fabbrica, anche impegnandosi a mantenere intatto l’organico – allora composto da circa 120 unità – e ampliando la produzione ai prefabbricati leggeri ad uso abitazione e pesanti per grandi lavori. Il consiglio di fabbrica e la FLM provinciale valutarono positivamente la proposta del gruppo milanese, siglando un accordo sindacale con il quale richiedere al Tribunale la gestione della Curtisa da parte della Sicop. La stessa Regione Emilia-Romagna, il Comune di Bologna e la Provincia si espressero a favore di tale ipotesi, ritenendo il programma proposto dalla società milanese rispondente agli obiettivi di continuità produttiva e occupazionale cui i lavoratori e le istituzioni miravano. Nel maggio successivo le maestranze giunsero in corteo a manifestare davanti al Palazzo di giustizia, chiedendo alla magistratura di favorire la soluzione prospettata che avrebbe salvaguardato l’occupazione operaia e la produzione industriale. Alla scadenza dell’esercizio provvisorio, il 31 maggio 1982, l’offerta avanzata dalla società milanese non fu giudicata idonea dal giudice del Tribunale, che la respinse in quanto la perizia giudiziaria valutò l’area circa 9 miliardi di lire, a fronte dei 7 proposti della Sicop. Presto sopraggiunse la liquidazione aziendale.

Ancora nel 1985 la vicenda Curtisa interessava da vicino gli ex lavoratori dello stabilimento di Via Ranzani, che nel frattempo diedero vita ad un Comitato Curtisa: esso avanzò una forte protesta per il mancato riconoscimento alle maestranze delle retribuzioni ammesse dal Tribunale, anche premendo sulle forze politiche locali affinché sbloccassero la suddetta procedura, ed esprimendo preoccupazioni per la modifica alla legge sul Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, che avrebbe riguardato solo una piccola percentuale degli ormai ex lavoratori della Curtisa.