La conflittualità operaia nel biennio 1968-69

Il secondo biennio rosso si aprì alla Sasib con le proteste e gli scioperi per il licenziamento, ritenuto pretestuoso, del tornitore iscritto al Pci, nonché membro del Comitato provinciale della Fiom, Antonio Mignani, alla vigilia di Natale del 1968. Gli operai riuniti in assemblea decisero di proclamare immediatamente uno sciopero. La novità era la presenza durante i picchetti davanti alla fabbrica degli studenti, che insieme agli operai subirono anche le cariche della celere. La vertenza sindacale che si aprì immediatamente non conteneva però solo la richiesta del ritiro del licenziamento di Mignani e il suo reintegro in fabbrica, ma altri cinque punti: orario di lavoro (sabato festivo e regolamentazione dello straordinario); aumento del premio di produzione; revisione e aumento del cottimo; diritto di assemblea in mensa; garanzia dell’applicazione dell’inquadramento professionale. Ma la lotta coinvolse anche altri aspetti: opposizione all’autoritarismo, al paternalismo, alle intimidazioni e all’isolamento dei militanti sindacali. La vertenza durò alcuni mesi e vide il susseguirsi di scioperi, manifestazioni, picchetti e cortei che condussero alla firma dell’accordo il 2 aprile 1969. La lotta portò a notevoli miglioramenti: aumento del premio di produzione; 44 ore settimanali suddivise in cinque giorni lavorativi (dal lunedì al venerdì); revisione del cottimo in modo da garantire un aumento del guadagno medio; eliminazione dei rischi di nocività. Quest’ultimo era un punto importante e molto sentito in fabbrica: fin dal 1967 si svolsero infatti assemblee con il coinvolgimento di medici sulla questione dell’ambiente di lavoro; sullo stesso tema lavorò anche il gruppo di ricerca operai-studenti che portò alla realizzazione di una inchiesta sulle condizioni di lavoro e salute in fabbrica.