La conflittualità operaia nel biennio 1968-69

Gli anni caldi della contestazione si aprirono alla Sasib con le proteste e gli scioperi per il licenziamento, ritenuto dai colleghi pretestuoso, del tornitore iscritto al Pci, nonché membro del Comitato provinciale della Fiom, Mignani, alla vigilia di Natale del 1968. Gli operai riuniti in assemblea decisero di proclamare immediatamente uno sciopero. La novità era la presenza durante i picchetti davanti alla fabbrica degli studenti, che insieme agli operai subiscono anche le cariche della celere. La vertenza sindacale che si aprì immediatamente non conteneva però solo la richiesta del ritiro di licenziamento di Mignani e il suo reintegro in fabbrica, ma altri cinque punti: orario di lavoro (sabato festivo e regolamentazione dello straordinario); aumento del premio di produzione; revisione e aumento del cottimo; diritto di assemblea in mensa; garanzia dell’applicazione dell’inquadramento professionale. Ma la lotta portata avanti coinvolse anche altri aspetti: opposizione all’autoritarismo, al paternalismo, alle intimidazioni e all’isolamento dei militanti sindacali. La vertenza durò alcuni mesi e vide il susseguirsi di scioperi, manifestazioni, picchetti e cortei che portarono alla firma dell’accordo il 2 aprile 1969. La lotta portò a notevoli miglioramenti: aumento del premio di produzione; 44 ore settimanali suddivise in cinque giorni lavorativi (dal lunedì al venerdì); revisione del cottimo in modo da garantire un aumento del guadagno medio; eliminazione dei rischi di nocività. Quest’ultimo è un punto importante e molto sentito in fabbrica, fin dal 1967 si svolsero infatti assemblee con il coinvolgimento di medici sulla questione dell’ambiente di lavoro; sullo stesso tema lavorò anche il gruppo di ricerca operai-studenti che portò alla realizzazione di una inchiesta sulle condizioni di lavoro e salute in fabbrica.