Calzoni

La Calzoni è stata un’importante azienda meccanica bolognese, probabilmente una delle più vecchie tra quelle che hanno fatto la storia industriale della città. Venne fondata nel 1830 da Alessandro Calzoni, come piccolo laboratorio per la fusione di oggetti in bronzo e peltro. Poco dopo divenne un’officina per la costruzione e la riparazione di macchine e attrezzature agricole. Fu la prima azienda ad applicare la forza del vapore alla produzione industriale. La sede era in Strada Maggiore, ma dopo qualche anno fu spostata all’interno dell’ex chiesa del Carobbio, in via Castiglione n. 7, dove venne allestito anche un reparto di fonderia. Nel 1855, Alessandro Calzoni moriva, lasciando l’azienda ai figli Costantino e Annibale. Pochi anni dopo la sede fu trasferita a ridosso delle mura, dove attualmente viale Pietramellara incontra via Amendola, ovvero quasi di fronte alla stazione ferroviaria inaugurata nel 1859. Gli ambienti di via Castiglione non furono abbandonati, ma trasformati per ospitare, oltre alla fonderia, un magazzino.

Sul finire dell’Ottocento, l’azienda era molto cresciuta e fabbricava motori idraulici, pompe idrodinamiche e varie altre apparecchiature industriali, distinguendosi come una delle imprese tecnologicamente più all’avanguardia della provincia. Durante la Grande Guerra, fu dichiarata «stabilimento ausiliario», affiancando alla tradizionale produzione anche forniture belliche e civili, in particolare macchine speciali per il munizionamento e turbine per gli impianti idroelettrici dell’Appennino. Nel 1920, si unì alla fonderia Parenti, dando vita alla Società anonima officine Calzoni Parenti, con lo stabilimento lungo via Emilia Ponente, nella zona industriale di Santa Viola.

La direzione dell’azienda fu assunta da Alfredo Calzoni (1889-1942), ingegnere e nipote di Alessandro, che la strutturò in tre diverse divisioni produttive: la fonderia, la costruzione di impianti e la fabbricazioni di altri macchinari. Le sue brillanti innovazioni nel campo dell’oleodinamica permisero alla società di imporsi nel campo dei motori per paratoie, per l’alaggio delle navi e per le gru. Fu il viatico per un’importante collaborazione con la Marina militare, ma anche con la Società costruzioni meccaniche Riva, con sede a Milano, che pure produceva motori idraulici. In particolare, la Calzoni iniziò a realizzare tecnologie destinate ai sottomarini. Tali collaborazioni divennero ancora più strette con lo scoppio della seconda guerra mondiale, visto l’esponenziale aumento di commesse belliche, che determinarono un aumento della manodopera fino a 1.600 addetti.

Finito il conflitto e morto Alfredo Calzoni, le redini dell’azienda furono prese dal figlio Augusto, che potenziò l’officina e il reparto carpenteria. Ma l’azienda sembrava perdere terreno rispetto ai lustri del XIX secolo e della prima metà del XX, per cui nel 1964 si decise per la fusione con la storica partner Riva. Nasceva così la Riva Calzoni, che tentava il rilancio dello stabilimento bolognese nei settori idroelettrico, navale e dell’impiantistica oleodinamica. In particolare, la produzione fu estesa ai sistemi di gestione per navi di superficie e furono colte alcune nuove opportunità nel mercato internazionale.

La Riva Calzoni divenne famosa per le tecnologie per sommergibili, costruite per la Marina italiana, ma anche per quella olandese e quella tedesca. Iniziava anche una nuova produzione di dispositivi speciali per la guerra di superficie e si svilupparono apparati di propulsione silenziosi per unità antimina. Si trattava di sistemi completamente amagnetici, che permettevano, insieme con un particolare regolatore elettronico, un elevato livello di manovrabilità.

Negli anni novanta, dopo una nuova crisi, si ebbe lo smembramento definitivo della Riva Calzoni. La divisione aziendale dedicata alla produzione di turbine fu ceduta tedesca Voith Siemens, mentre quella simmetrica che si occupava di pale eoliche confluì in una nuova società, la Riva wind power, poi incorporata dal gruppo Edison. La parte relativa all’impiantistica fu acquisita da alcune realtà lombarde e nel 2003 fusa con l’Acciaieria e tubificio Brescia (Atb), acquisendo il nome di Atb Riva Calzoni, oggi parte di Atb Group. Invece, un ramo d’azienda minore diede origine alla Riva Calzoni oleodinamica, con sede ad Anzola dell’Emilia. Infine la divisione aziendale che insisteva sulle tecnologie navali, dopo varie vicissitudini, trovò collocazione in uno stabilimento a Calderara di Reno, e si concentrò su una produzione di sollevamenti per sommergibili, sistemi di ausilio visuale all’atterraggio e applicazioni navali speciali. Nel 2012 è stata acquisita dalla multinazionale statunitense, l’attuale L3 Harris Technologies Corporation, per cui lo stabilimento ha adottato il logo L3 Harris Calzoni.

Lo storico stabilimento della Riva Calzoni, in via Emilia Ponente n. 72, è stato demolito nei primi anni duemila e al suo posto sono sorti alcuni edifici residenziali e il centro commerciale Santa Viola, imperniato sul supermercato Esselunga. 

Bibliografia

  • 1834-1984: Centocinquant’anni di vita della Calzoni, Bologna, Riva Calzoni, 1984.
  • Maria Angela Neri, Quando si tirava la vita coi denti..., a cura di Gianfranco Paganelli, Bologna, Centro sociale ricreativo culturale Santa Viola 2004.
  • Luigi Donati, Bologna e l’Officina Calzoni. Reminiscenze d’un ex operaio, Bologna, Tipografia P. Cuppini, 1937
  • Antonio Campigotto, Roberto Martorelli (a cura di), La ruota e l’incudine. La memoria dell’industria meccanica bolognese in Certosa, Bologna, Minerva, 2016.
  • Fabio Gobbo (a cura di), Bologna 1937-1987. Cinquant’anni di vita economica, Bologna, Cassa di Risparmio in Bologna, 1987.

Percorsi tematici

Sin dai primissimi mesi del 1968, manifestazioni e contestazioni operaie animarono la ditta Calzoni. Queste portarono alla firma, nel luglio 1968, di un accordo aziendale tra la direzione e le organizzazioni sindacali (Fiom-Cigl, Fim-Cisl, Uilm-Uil) con il quale veniva riconosciuto un premio di produzione ai dipendenti pari al 3,50% dei minimi contrattuali, l’aumento della paga e la riduzione del monte ore settimanale a 43 (42 a partire dal 1° gennaio 1969).

Ciò nonostante, scioperi e picchetti si susseguirono nei mesi successivi, anche con la partecipazione delle maestranze Calzoni alle manifestazioni promosse dalle organizzazioni sindacali della Regione. Nel gennaio 1969 circa il 98% degli operai della fabbrica prese parte alla sciopero regionale promosso da Cgil, Cisl e Uil “per l’annientamento del ghetto dei salari”, quando incontrarono anche la presenza rafforzata di carabinieri e poliziotti presso lo stabilimento. Le manifestazioni per le vie cittadine degli operai metalmeccanici proseguirono, mostrando l’unità della categoria contro le resistenze padronali: nell’ottobre 1969 un grande sciopero vide l’incontro al ponte sul Reno dei manifestanti provenienti dalle fabbriche del quartiere Santa Viola, dove era situato lo stabilimento Calzoni, e Borgo Panigale, cui segui un comizio davanti a migliaia di metalmeccanici.

Gli anni Settanta si aprirono con nuove manifestazioni, volte a raggiungere importanti obiettivi aziendali incentrati sulle qualifiche, il cottimo, la ristrutturazione dei salari e le migliorie degli ambienti di lavoro. Nel marzo 1971, operai e impiegati della Calzoni picchettarono la fabbrica e al termine di uno sciopero articolato della durata di 14 ore fu raggiunta un’intesa di massima tra le parti, che sancì un importante traguardo per le maestranze della fabbrica. Tra i punti più significativi vi erano l’abolizione del cottimo, la parità di paga all’interno della stessa categoria ed il riconoscimento del consiglio di fabbrica come organismo proprio dei lavoratori, cui spettava il compito di discutere i problemi che interessavano gli operai, tra cui anche quelli relativi alle condizioni ambientali e della salute delle maestranze.

In continuità con quanto operato da numerose altre realtà operaie della città, ed evidenziando l’insorgere di una nuova sensibilità verso questi temi, proprio le condizioni di lavoro e salute degli operai divennero un nodo sul quale si concentrarono le attenzioni del consiglio di fabbrica, che presto cominciò ad avviare indagini conoscitive in collaborazione col Servizio di medicina preventiva del Comune di Bologna. Sul finire del 1973, il contributo dei medici nelle assemblee dei lavoratori portò, quindi, alla definizione di richieste vertenti sulla salute e ambiente di lavoro.

Nel gennaio 1974 nella fabbrica erano occupate 710 maestranze, così divise: 545 operai e 165 unità tra tecnici e impiegati; tra questi ultimi, vi erano 10 donne. L’alto tasso di sindacalizzazione era evidenziato dall’alto numero di iscritti, 622, pari al 87.61%.

Due nuovi accordi aziendali, 1975 e 1978, trattarono rispettivamente la materia retributiva, i premi di produzione ed il lavoro in turno, da un lato, gli investimenti, l’ambiente di lavoro e i servizi, le richieste salariali e normative dall’altro.

Nel 1976 un’indagine all’interno della fabbrica evidenziò che, delle circa 800 maestranze occupate in uno stabilimento ad elevato tasso di sindacalizzazione, sul versante del tesseramento politico gli iscritti al PCI erano poco più di cento unità.

Gli anni Ottanta cominciarono con nuove lotte volte alla salvaguardia dell’occupazione, minacciata da piani di ristrutturazione aziendale che minavano gli organici, in modo particolare la manodopera specializzata. La FLM bolognese, proclamando uno sciopero di tre ore il 1° luglio 1981, intendeva aprire una reale discussione sull’orientamento politico delle associazioni padronali, evidenziando la tendenza sempre più diffusa ad agire al di fuori degli accordi aziendali, aggirando il consiglio di fabbrica e la FLM stessa, anche ricorrendo allo strumento della cassa integrazione con l’intento di autoridurre il personale. Questo fenomeno, valido per diverse realtà industriali della città, interessò da vicino la Calzoni: la direzione decise di realizzare un nuovo stabilimento dedicato alla produzione in serie, presso la zona industriale del Bargellino, senza discuterne con le organizzazioni sindacali della fabbrica durante la trattazione dell’accordo aziendale firmato solamente tre mesi prima.

Un cambio di strategia sembrò profilarsi alla metà del decennio quando, nel 1985, un accordo aziendale proposto dalle organizzazioni sindacali fu accettato dalla direzione della fabbrica. L’accordo, ritenuto la punta più avanzata della contrattazione bolognese, prevedeva l’informazione preventiva alle forze sindacali sulle nuove tecnologie e sui piani di ristrutturazione da adottare, la sperimentazione di un contratto part-time per chi ne avesse bisogno, la formazione professionale all’interno dell’orario di lavoro, flessibilità oraria in relazione all’utilizzo delle nuove tecnologie ed altro ancora. Allora lo stabilimento occupava circa 650 maestranze.

Gli anni 1986 e 1987 videro i lavoratori della Calzoni, insieme a molti operai metalmeccanici occupati nella città, impegnati nelle manifestazioni e negli scioperi per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, culminato nel referendum del febbraio 1987 nel quale le maestranze si espressero sulla bozza di contratto siglata dalle tre associazioni sindacali di categoria.

Tra la fine degli anni Ottanta ed i primi del decennio successivo, la Calzoni andò incontro ad una grave crisi. Nell’aprile 1988 la direzione della fabbrica lasciava intendere la volontà di voler ridurre l’organico da 630 occupati a circa 550, anche ricorrendo a strumenti quali la cassa integrazione a 0 ore, lanciata in quei giorni per le successive quattro settimane. La ristrutturazione aziendale aveva l’obiettivo di abbassare i costi e ringiovanire l’organico, sostituendo le maestranze più anziane con quelle più giovani, ammodernare gli impianti e innovare la produzione.

Nel maggio 1989 una piattaforma contenente un contratto integrativo fu approvata da un referendum aziendale. Tra i punti discussi, il premio ferie, il salario, la formazione professionale, la costituzione di una banca dati cui i lavoratori potessero accedere per svolgere i loro compiti, un orario di lavoro più elastico e l’istituzione di pensioni integrative. Un’attenzione particolare fu rivolta alla questione ambientale, all’inquinamento acustico e atmosferico, all’utilizzo di sostanze tossiche. La direzione aziendale si impegnò a fermare la cassa integrazione il 6 giugno successivo.

Ancora tra il maggio ed il giugno 1990 i lavoratori Calzoni presero parte agli scioperi e alle manifestazioni svoltesi in città contro il rinnovo del contratto di lavoro nazionale, scaduto il 31 dicembre dell’anno precedente, alle condizioni proposte da Confindustria.

Ulteriori crisi aziendali portarono successivamente allo smembramento dell’azienda e all’abbandono dello stabilimento produttivo situato in Via Emilia Ponente, successivamente demolito per lasciare spazio al sito commerciale Esselunga.