Cevolani

Le Officine Cevolani furono fondate nel 1900 a Bologna, per iniziativa di Edoardo Cevolani. Quest’ultimo era nato nel 1866 ad Alberone, frazione di Cento, dove aveva lavorato come aiutante del padre maniscalco. Trasferitosi a Bologna alla morte del genitore, svolse vari lavori come operaio specializzato, studiando nel contempo alle scuole serali Aldini Valeriani. Sul finire dell’Ottocento aprì una propria bottega artigiana in piazza Santo Stefano, dedita più alla riparazione che alla produzione.

Nel 1900 si trasferì in un locale più ampio in via Farini, registrando la nuova attività con il nome di Officine Cevolani. Fabbricava principalmente macchine turabottiglie e biciclette, arrivando anche a ideare una motocicletta alimentata da gas acetilene. Con lui lavoravano alcuni operai, saliti a trenta nel corso della Grande Guerra, quando l’azienda ottenne numerose commesse pubbliche per la fabbricazione di proiettili e di cartucciere. Dopo il conflitto dotò l’officina di un reparto elettrotecnico, instradandola verso la produzione di apparecchi di precisione.

Edoardo Cevolani morì nel 1934, dopo una breve malattia, ma avendo il tempo di lasciare l’azienda – ridenominata Ditta Edoardo Cevolani, Officina meccanica di precisione e laboratorio elettrotecnico – a due giovani collaboratori, Luigi Samoggia (1897-1971) e Armando Pazzaglia (1917-1966). L’impresa continuò a battere il medesimo mercato, acquisendo una certa notorietà per aver realizzato il portone automatico corazzato della gioielleria Menzani di via Orefici. Poco dopo fu avviata una collaborazione con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, per la produzione di strumentazione scientifica.

Nel 1940, avendo raggiunto i 75 addetti, l’azienda si trasferì in un capannone appositamente costruito in via Donato Creti n. 16, lungo via Donato Creti, nel quartiere della Bolognina, tornando alla denominazione di Officine Cevolani. Durante la guerra produsse macchine inscatolatrici per il vicino stabilimento della Casaralta, che forniva all’esercito carne a lunga conservazione in confezioni di latta. Distrutta dai bombardamenti, la fabbrica tornò ad essere operativa nel secondo dopoguerra, specializzandosi nella produzione di macchine utensili e per il confezionamento. Fu soprattutto quest’ultimo settore a fare da traino allo sviluppo dell’azienda, che venne ben presto a trovarsi nel gotha del packaging bolognese.

In questa fase, furono i fratelli di Armando Pazzaglia, Luigi (1914-2008) e Cesare (1917-2000), a far fare all’azienda un grande salto di qualità. In particolare, Luigi – anch’egli diplomato alle Aldini Valeriani –, lasciò sullo sfondo la produzione di macchine utensili, concentrando tutte le risorse nello sviluppo di tecnologie per l’inscatolamento. Nel corso degli anni sessanta, la Cevolani fu la prima impresa al mondo a fornire alle grandi aziende alimentari impianti automatici completi, consolidando così il proprio marchio a livello internazionale. Basti pensare che la stragrande maggioranza del fatturato derivava da commesse estere.

In secondo luogo, la Cevolani fu una tra le imprese del territorio bolognese che più investirono nel sapere tecnico, con importanti e pionieristiche collaborazioni con le scuole del territorio. Non a caso Luigi Pazzaglia ricoprì per quasi trent’anni, ovvero fino alla morte, l’incarico di presidente dell’Associazione dei diplomati presso l’Istituto Aldini-Valeriani (Aliav). 

Acquisita dal Gruppo Pelliconi, nel 1999 la Cevolani fu trasferita a San Lazzaro, in località Colunga. La fabbrica di via Donato Creti, rimasta vuota, fu abbattuta nel 2013, per fare spazio a un insediamento residenziale.

Bibliografia

  • Antonio Campigotto, Roberto Martorelli (a cura di), La ruota e l’incudine. La memoria dell’industria meccanica bolognese in Certosa, Bologna, Minerva, 2016.
  • Fabio Gobbo (a cura di), Bologna 1937-1987. Cinquant’anni di vita economica, Bologna, Cassa di Risparmio in Bologna, 1987.
  • Roberto Curti, Maura Grandi (a cura di), Per niente fragile. Bologna capitale del packaging, Bologna, Compositori, 1997.
  • Le Officine Cevolani, in «La Mercanzia», n. 3, 1952.

Percorsi tematici

Già dai primi mesi del 1968, presso le Officine Cevolani si susseguirono assemblee e consultazioni dei lavoratori, sostenute dalla sezione Fiom aziendale, volte a discutere i principali problemi che interessavano le maestranze dello stabilimento. I punti principali vertevano sulle qualifiche degli operai, l’orario di lavoro, il premio aziendale, la salute dei lavoratori e la nocività di alcuni aspetti del lavoro, la disciplina in azienda ed i permessi. L’organizzazione sindacale sottolineava la lenta, ma persistente, azione del padronato tesa a erodere le conquiste contrattuali ottenute dai lavoratori solo pochi anni prima: controllo dei ritmi di lavoro, irrigidimento dei rapporti disciplinari, mancata concessione della riduzione dell’orario di lavoro e rifiuto del rinnovo del premio aziendale sono alcuni dei comportamenti denunciati dalla sezione Fiom.

A fronte delle richieste avanzate nel giugno dello stesso anno dalla Commissione interna della Cevolani, la direzione delle Officine determinò, nell’ottobre successivo, una nuova indennità (fissa per ogni categoria) in sostituzione del premio di produzione con decorrenza a partire dal 1° novembre 1968. Si impegnò a provvedere alla distribuzione gratuita di due tenute da lavoro entro il gennaio 1969; circa la mensa aziendale – di prossima cessione in gestione a terzi – si assunse l’onere del primo piatto, mentre il secondo e le consumazioni aggiuntive restavano a carico del lavoratore. Inoltre, sempre a decorrere dal 1° novembre 1969, fu adottato un monte ore settimanale pari a 45, distribuite su sei giornate lavorative.

Le conquiste contrattuali ottenute nel corso del 1968 furono parziali rispetto alle reali esigenze delle maestranze, che continuarono a manifestare nelle successive assemblee la necessità di nuovi confronti con la direzione e del raggiungimento di nuovi obiettivi. Sin dal 1970 il consiglio di fabbrica si impegnò a predisporre una piattaforma rivendicativa volta a eliminare la discrezionalità del padronato che creava discriminazione tra i lavoratori e a ottenere migliori condizioni di lavoro. Tra i temi più importanti, si chiedeva l’eliminazione della 4 e 5 categoria, la parificazione delle paghe all’interno della stessa e la loro riparametrazione, l’unificazione del premio di produzione. Veniva inoltre richiesta la tutela della salute dei lavoratori con l’eliminazione delle nocività presenti in azienda, da realizzare attraverso visite periodiche specialistiche per le maestranze esposte, l’intervento di tecnici esterni per l'individuazione delle cause di nocività e l’istituzione del libretto sanitario personale.

L’accordo aziendale firmato nel maggio 1974 istituiva un superminimo aziendale superiore allo stesso in atto, incrementava il premio di produzione, riparametrava i livelli retributivi. La direzione si impegnava anche a riconoscere alla rappresentanza aziendale dei lavoratori un monte ore annuo retribuito pari a 300.

Sul tema della salute e del welfare aziendale interveniva un nuovo accordo, siglato dal consiglio di fabbrica e dalla FLM con l’azienda nel marzo 1975. Al consiglio di fabbrica si riconosceva il diritto di controllare la corretta applicazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e malattie professionali e di predisporre misure tese alla tutela della salute dei lavoratori, anche ricorrendo a medici e tecnici esterni all’azienda. Sui servizi sociali, invece, la direzione si dichiarava disponibile, seppure temporaneamente e in via del tutto eccezionale, a favorire con un contributo finanziario il ricorso da parte di dipendenti agli asili nido e ai trasporti.

Nella seconda metà degli anni Settanta, sopraggiunsero nuove e vecchie rivendicazioni da parte dei lavoratori riuniti in assemblee, la cui onda giunse ai primi anni Ottanta.

Un’importante ipotesi di piattaforma aziendale fu presentata dal consiglio di fabbrica e dalla FLM provinciale nel marzo 1978, i cui temi principali vertevano sulla priorità di un ambiente di lavoro salubre, su una migliore organizzazione del lavoro capace di valorizzare lo sviluppo delle maestranze, sul mantenimento dell’allora livello occupazionale pari a 190 unità circa, sulla necessità di incrementare i superminimi ed i premi di produzione. Veniva inoltre richiesto un aumento a 600 del monte ore retribuito per il consiglio di fabbrica. L’accordo aziendale del giugno successivo recepì le richieste avanzate dai lavoratori. In particolare, fu stabilito come prioritario il miglioramento dell’ambiente di lavoro, da realizzare attraverso un potenziamento della sua illuminazione, l’adeguamento dei servizi igenico-sanitari e la stesura di un piano-programma (curato dal consiglio di fabbrica, da attuare entro il 31 agosto 1979) teso a trovare soluzione ai problemi come il ricambio dell’aria e sistemazione delle lavorazioni nocive. L’azienda si impegnava a valorizzare i lavoratori  dando loro mansioni più professionalizzate, a mantenere gli stessi livelli occupazionali sino al 30 giugno dell’anno successivo, ad aumentare le quote salariali. Fu elevato a 500 il monte ore annuo retribuito a disposizione dal consiglio di fabbrica.

I livelli occupazionali furono stabili negli anni immediatamente successivi e un nuovo accordo nel gennaio 1981 confermava l’impegno della direzione al mantenimento dell’organico esistente sino al 30 giugno 1982. Il consiglio di fabbrica e la FLM provinciale convennero con l’azienda a un accordo che verteva principalmente sull’organizzazione del lavoro e sullo sviluppo del lavoratore. Furono stabilite procedure di sperimentazione per la qualificazione professionale delle maestranze in percorsi, dalla durata di 12 mesi, che interessavano alesatrici e torni a controllo numerico, frese orizzontali e verticali, rettifiche per esterni ed interni, montaggio, con l’obiettivo di formare figure con capacità tecnico-pratiche elevate e dotate di autonomia esecutiva.

La formazione professionale dei lavoratori divenne, nella seconda metà degli anni Ottanta, uno dei principali temi oggetto di contrattazione tra le le organizzazioni sindacali e la direzione aziendale.

A dicembre 1985, negli anni in cui l’introduzione dei sistemi elettronici nelle industrie cominciava a modificare l’organizzazione del lavoro, l’azienda si impegnò, siglando un accordo con il consiglio di fabbrica e la FLM provinciale, a fornire anticipatamente informazioni circa l’applicazione di nuovi sistemi e i loro riflessi in termini occupazionali per consentire al consiglio stesso di esaminare i nuovi programmi aziendali, anche formulando proprie proposte. In relazione alle nuove tecnologie, le parti convennero sulla necessità di promuovere e favorire la formazione professionale delle maestranze, fornendo nozioni sulle tecnologie adottate e sui processi lavorativi e organizzativi coinvolti, oltre che una formazione di carattere più generale. Nell’accordo era anche prevista la prosecuzione delle sperimentazioni professionali avviate nel 1981 e il mantenimento dell’organico attuale, prevedendo contratti di formazione lavoro per l’ingresso dei più giovani.

Sul finire del decennio, nel 1989, un nuovo accordo sottoscritto dal consiglio di fabbrica e dall’azienda prevedeva nel triennio 1989-1991 l’assunzione di nuovi addetti che compensassero le uscite, al fine di mantenere inalterato il livello occupazionale. Tra i settori di interesse per la crescita aziendale, all’interno dei quali sviluppare professionalità elevate, furono individuati settori come il montaggio, elettronici, montaggio attrezzatura, rettifiche e controllo numerico. La Cevolani si impegnò nuovamente a porre una particolare attenzione ai percorsi di istruzione e  di inserimento dei lavoratori assunti con i contratti di formazione e lavoro, da integrare successivamente nell’organico con la trasformazione dei loro contratti in tempo determinato.