La gestione Eni: le lotte contro la cassa integrazione e per il rilancio

Il 3 aprile 1978 in una assemblea alla Cognetex, a cui parteciparono oltre ai lavoratori le forze politiche e sindacali, emersero con forza due parole d’ordine: salvezza e rilancio. Oltre a voler evitare lo smantellamento e la privatizzazione, si chiedeva il passaggio delle aziende ex Egam, tra cui la Cognetex, all’Eni con l’attuazione di un piano industriale di settore. Fu proprio in quell’anno che l’azienda, insieme alle altre del meccano-tessile ex Egam, entrò nel gruppo Eni. I lavoratori e le organizzazioni sindacali denunciarono immediatamente i pesanti ritardi nel risanamento produttivo e commerciale e nella ricerca tecnologica; ma il Consiglio di fabbrica lamentò anche l’immobilità della direzione e il rifiuto di ascoltare le richieste dei lavoratori. Per questo motivo, già alla fine del 1979, venne proclamato lo sciopero degli straordinari. Nonostante l’opposizione del Consiglio di fabbrica, la direzione prima applicò una settimana di cassa integrazione ordinaria per sei mesi tra il 1982 (anno in cui diventò definitivamente operativo il nuovo stabilimento) e il 1983 e poi, dal 1984, comunicò la cassa integrazione straordinaria a zero ore. I cassaintegrati si riunirono in assemblea e, oltre a denunciare l’aggravamento della situazione, chiesero l’impegno del governo a definire il ruolo delle aziende pubbliche e a finanziarle. A destare ulteriore preoccupazione fu un ordine di servizio emanato dalla direzione in cui si prefigurò il solo mantenimento della produzione nello stabilimento di Imola e la delocalizzazione dell’Ufficio tecnico, quello commerciale e di progettazione a Pordenone. Nel 1984 ebbero luogo mobilitazioni, a cui parteciparono lavoratori, sindacati, enti locali e delegazioni di altre fabbriche, contro l’ipotesi di chiusura e concentramento della produzione in Friuli. l’Eni decise dunque di non chiudere lo stabilimento imolese ma di avviare una ristrutturazione con l’estromissione di 228 esuberi, che avrebbero fatto calare ulteriormente le maestranze a quota 445 rispetto alle 878 del 1980. Gli esuberi furono scongiurati da un accordo, che rilanciò la produzione e l’occupazione, siglato nel 1986, anno in cui comunque le maestranze erano più che 689.