L’aggravamento della crisi aziendale mostrò importanti segni nei primi anni Ottanta, quando solo un accordo aziendale firmato nel giugno 1981 dalla direzione, il consiglio di fabbrica e la FLM provinciale, con il sostegno dell’assessorato alle Attività produttive delle Regione, evitò la riduzione di 170 unità dell’organico impegnato nello stabilimento di Casalecchio di Reno e la chiusura della fabbrica di Bondeno. A seguito dell’accordo, preservando l’occupazione di tutte le maestranze (650 unità), si ricorse allo strumento della cassa integrazione e furono esclusi i licenziamenti. Ciò nonostante, nel luglio successivo il Tribunale di Bologna diede avvio alla procedura di amministrazione controllata dell’azienda, durata sino al 25 maggio 1983, quando il temuto fallimento della Giordani, che allora impiegava circa 540 addetti (diminuiti a causa di dimissioni volontarie, pensionamenti e pre-prensionamenti), fu evitato a favore di un concordato preventivo giudiziale.
Nell’autunno 1983 l’occupazione delle maestranze fu messa a dura prova dalla prospettiva dell’acquisto della società da parte di due soggetti, la Silma di Torino e l’Azzurra baby, entrambi con legami con la Giordani stessa. La prima avrebbe voluto dimezzare l’organico sino a raggiungere le 195 unità dalle 470 impiegate nell’ottobre 1983, mentre della seconda non erano chiare le volontà, ma comunque il sindacato mostrava un forte scetticismo. La crisi della Giordani coinvolse anche le istituzioni politiche locali, tanto da portare il Consiglio comunale di Casalecchio di Reno ad approvare un ordine del giorno proposto dalla Giunta che sottolineava la solidarietà ai lavoratori ed esprimeva dissenso verso un piano di rilancio aziendale che avrebbe gravato pesantemente sulle spalle degli operai e degli impiegati.