Sasib

La Società anonima Scipione Innocenti Bologna (Sasib) fu fondata nel 1933, per iniziativa dell’omonimo imprenditore felsineo e grazie ai capitali di una finanziaria milanese, la Setemer del commendatore Camillo Protto. In realtà, le radici della società erano più antiche e risalgono al 1915 quando Scipione Innocenti, ventisettenne, rilevò la piccola azienda meccanica di via Mascarella nella quale lavorava come operaio addetto alla produzione di stampi per trafilare la pasta, rinominandola Officina Meccanica Scipione Innocenti. Nel 1922, l’attività venne trasferita in via del Borgo, e si iniziarono a produrre ricambi per biciclette, macchine operatrici, frese, e pezzi per le attrezzature della manifattura tabacchi. Un anno dopo, l’officina – che contava una ventina di operai – si specializzò nella costruzione di apparecchiature per il segnalamento ferroviario, in particolare nel campo degli apparati a filo ed idrodinamici (apparecchi fermascambi, banchi di manovra, segnalatori, semafori). Sembra che l’inserimento in questo settore avvenisse in seguito ad alcuni contatti tra Innocenti e la Ericsson italiana, che deteneva i brevetti e che commissionava ad officine esterne alcune produzioni. Nel 1929 gli addetti erano saliti a ben duecento.

Quattro anni dopo, appunto, l’azienda era ristrutturata, con l’ingresso di un nuovo azionista e con l’adozione del nome Sasib. Si trattava di una vera e propria svolta, con la quale si sarebbe avuta una decisiva crescita degli indici di produzione. Il nuovo stabilimento, disponibile dal 1934, aveva sede in via Corticella 87-89, di fronte all’ippodromo di Bologna, ed era una fabbrica moderna, ben organizzata, con macchine e impianti tecnologicamente avanzati per l’epoca.

Al momento della costituzione della Sasib, i capisaldi della strategia aziendale erano già definiti: innanzitutto la scelta di rivolgersi ad un mercato pubblico, e poi la volontà di privilegiare le produzioni su licenza di apparecchiature progettate e brevettate da altre imprese più importanti. L’organigramma aziendale prevedeva che Camillo Protto fosse il presidente, l’ing. Carlo Jachino (ex-dirigente della Ericsson italiana) ricoprisse la carica di direttore tecnico, mentre Scipione Innocenti era consigliere delegato e direttore generale.

Forte delle autonomie di cui godeva nel proprio ruolo, Innocenti spinse anche per iniziare immediatamente una collaborazione con la General Railway Signal (Grs), azienda statunitense ben presente in Europa. I primi contratti furono siglati nel 1934 e permisero un aumento della mole di lavoro tale che le maestranze superarono ben presto le 400 unità. Al di là di questi primi input, il merito imprenditoriale di Scipione Innocenti fu di comprendere la necessità di diversificare le produzioni, in modo da non dipendere da un unico committente. E quindi, dal 1937 la Sasib iniziò a produrre macchine confezionatrici per sigarette, grazie alla commessa di dieci impacchettatrici destinate alla manifattura tabacchi di Bologna. Il progetto era stato redatto e presentato dalla American Machinery Foundry (Amf).

Dopo questa prima positiva esperienza, la Sasib divenne costruttrice di nuove macchine per l’industria del tabacco. Nel volgere di pochi anni, dai 240 dipendenti del 1933 si era passati agli oltre 600 del 1937, e ai circa 1.000 del 1939, anno in cui a Innocenti fu conferito il titolo di cavaliere del lavoro. Nel 1938, era stato aperto un nuovo stabilimento a Meldola (Forlì), poi dismesso dopo la guerra, deputato alla produzione aeronautica. Con lo scoppio del conflitto, alla Sasib si iniziarono a produrre degli strumenti per il riempimento automatico delle cartucce da fucile, affusti da cannone e ulteriore componentistica per aerei.

Ma la vera svolta non doveva arrivare attraverso le commesse belliche, bensì nel settore del packaging; dopo il 1940, le tante esperienze svolte in questo campo, spinsero Innocenti ad avviare la produzione di una macchina confezionatrice di sigarette di ideazione propria. Anche se riprendeva ampiamente i modelli precedenti, costruiti su licenza Amf, in questo caso si trattava di un brevetto interno, e quindi in grado di dare maggiore prestigio e un ritorno economico superiore. Queste potenzialità poterono essere sfruttate dopo la Guerra, anche perché la Sasib ebbe la fortuna di non vedere mai bombardato il proprio stabilimento.

Dopo la Liberazione, per le sue passate simpatie fasciste e per i suoi cordiali rapporti con i tedeschi, Innocenti tenne un profilo molto più basso. La Sasib aveva raggiunto un altissimo livello nella progettazione e nella realizzazione delle macchine automatiche, ma diventava necessario specializzarsi e individuare con maggior precisione il proprio mercato. Ci si concentrò su due settori: i reparti elettrici ed elettromeccanici si sarebbero dedicati al tradizionale segnalamento ferroviario, nel quale furono rafforzati gli accordi tecnici e commerciali con la Grs, mentre l’officina si sarebbe dovuta rivolgere alla produzione di macchine automatiche per sigarette.

La produzione di macchine automatiche offriva delle prospettive interessanti e durature, grazie ai nuovi accordi con l’Amf: l’intesa prevedeva l’acquisto del diritto di fabbricazione di tutte le macchine Amf e il sostegno della relativa organizzazione commerciale; in questo modo la Sasib diventava in sostanza il centro di produzione della Amf, per il settore tabacchi, in Europa. Accanto ai modelli Amf, la Sasib non mancò di sviluppare produzioni proprie, soprattutto nel campo del confezionamento delle sigarette e delle operazioni accessorie (raccoglitori automatici, rilevatori di peso, umidificatori, ecc.). Così, nei primi anni cinquanta il fatturato delle macchine automatiche superava ampiamente quello del segnalamento.

Ma, quasi contemporaneamente, si profilarono alcune difficoltà. Nel 1953, la Sasib scese da 1.100 dipendenti a circa 500, coinvolta in una crisi congiunturale del settore che riguardò anche molte altre imprese locali. Nel Bolognese, essa divenne una delle società più «calde», in cui cioè l’attrito tra direzione e maestranze era più duro, con scioperi ripetuti, occupazione di reparti ed agitazioni di varia natura.

Nel 1957, la Amf rilevò i pacchetti azionari della finanziaria Setemer e di Scipione Innocenti, acquistando di fatto l’intera fabbrica che, infatti, dal 1958 avrebbe assunto il nome Amf-Sasib. Tra le macchine di maggior successo ci fu la Universal, che negli anni sessanta e settanta lavorò assiduamente nei vari stabilimenti dei Monopoli di Stato. In questa fase, lo stabilimento della Amf-Sasib si confermò come uno di quelli contraddistinti da maggiori scontri sindacali.

Negli anni Ottanta, la Sasib precipitò nuovamente in una crisi profonda, dovuta all’accentuata concorrenza e alle difficoltà di innovare i processi produttivi. Fu così rilevata dall’imprenditore Carlo De Benedetti attraverso le Compagnie industriali riunite (Cir), e si procedette alla divisione definitiva in due aziende: la Sasib Railway e la Sasib Tabacco. Nel 1997, la prima fu incorporata  dalla francese Alstom, mentre la Sasib Tabacco, fu acquistata nel 2003 da una società inglese, trasferendo la produzione a Castel Maggiore, e poi nel 2017 fu rilevata dalla storica azienda concorrente Gd, entrando a far parte della holding Coesia. L’area di via Corticella dove sorgeva lo storico stabilimento è stata oggetto di una completa riqualificazione, a vantaggio di edilizia residenziale.

Bibliografia

  • Giuseppe Brini, Sasib (Amf) Story. 35 anni di sfruttamento della forza-lavoro, Bologna 1969.
  • Aurelio Alaimo, Vittorio Capecchi, L’industria delle macchine automatiche a Bologna: un caso di specializzazione flessibile, in Pier Paolo D’Attorre, Vera Zamagni, Distretti, imprese, classe operaia. L’industrializzazione dell’Emilia-Romagna, Milano 1992.
  • Curti Roberto, Grandi Maura (a cura di), Per niente fragile. Bologna capitale del packaging, Bologna, Compositori, 1997, pp. 102-103.

 

Percorsi tematici

Gli anni caldi della contestazione si aprirono alla Sasib con le proteste e gli scioperi per il licenziamento, ritenuto dai colleghi pretestuoso, del tornitore iscritto al Pci, nonché membro del Comitato provinciale della Fiom, Mignani, alla vigilia di Natale del 1968. Gli operai riuniti in assemblea decisero di proclamare immediatamente uno sciopero. La novità era la presenza durante i picchetti davanti alla fabbrica degli studenti, che insieme agli operai subiscono anche le cariche della celere. La vertenza sindacale che si aprì immediatamente non conteneva però solo la richiesta del ritiro di licenziamento di Mignani e il suo reintegro in fabbrica, ma altri cinque punti: orario di lavoro (sabato festivo e regolamentazione dello straordinario); aumento del premio di produzione; revisione e aumento del cottimo; diritto di assemblea in mensa; garanzia dell’applicazione dell’inquadramento professionale. Ma la lotta portata avanti coinvolse anche altri aspetti: opposizione all’autoritarismo, al paternalismo, alle intimidazioni e all’isolamento dei militanti sindacali. La vertenza durò alcuni mesi e vide il susseguirsi di scioperi, manifestazioni, picchetti e cortei che portarono alla firma dell’accordo il 2 aprile 1969. La lotta portò a notevoli miglioramenti: aumento del premio di produzione; 44 ore settimanali suddivise in cinque giorni lavorativi (dal lunedì al venerdì); revisione del cottimo in modo da garantire un aumento del guadagno medio; eliminazione dei rischi di nocività. Quest’ultimo è un punto importante e molto sentito in fabbrica, fin dal 1967 si svolsero infatti assemblee con il coinvolgimento di medici sulla questione dell’ambiente di lavoro; sullo stesso tema lavorò anche il gruppo di ricerca operai-studenti che portò alla realizzazione di una inchiesta sulle condizioni di lavoro e salute in fabbrica. 

Il 22 settembre 1970 si aprì la vertenza alla Sasib con una piattaforma rivendicativa incentrata sull’abolizione delle qualifiche e del cottimo, sintomatica dello slancio egualitario delle lotte del nuovo decennio. A fine gennaio, in quattro mesi di vertenza, le ore di sciopero furono 120 pro-capite; si assistette a «centinaia di fermate articolate per reparto, autolimitazioni dei cottimisti, manifestazioni e cortei interni» e si bloccarono addirittura i portoni, impedendo ai semilavorati e agli impianti completi di lasciare la fabbrica. L’azienda rispose con una provocazione, facendo intervenire la polizia a minacciare gli operai. I punti qualificanti della vertenza erano: disincentivare le curve di cottimo, garantendo invece un guadagno minimo; abolire la quarta e la quinta categoria; stabilire criteri oggettivi per i passaggi di categoria, togliendo così la discrezionalità alla direzione. Le provocazioni della direzione e la sua iniziale intransigenza portarono alla rottura delle trattative e alla scelta di una linea dura di lotta, che portò al blocco dello stabilimento a fine gennaio. Il 5 febbraio 1971 venne raggiunto l’accordo dopo 150 ore di sciopero: si ottenne l’eliminazione della quarta e quinta categoria entro il 1 dicembre 1972, si stabilirono inoltre i criteri che determinavano i passaggi di categoria e le curve di cottimo diminuirono da 5 a 3, garantendo comunque un guadagno minimo per ciascuna curva. Con un accordo successivo, del 1974, si stabilì l’interruzione delle lavorazioni a cottimo entro il 31 dicembre dello stesso anno. 

Nel 1977 Carlo De Benedetti acquistò la Sasib dalla multinazionale americana Amf e la integrò nella Cir (Compagnie industriali riunite) holding industriale che aveva rilevato l’anno precedente. In quello stesso anno il consiglio di fabbrica elaborò una piattaforma molto avanzata in cui si rivendicava «il controllo e la discussione preventiva sul decentramento produttivo, la organizzazione del lavoro, la riqualificazione e riconversione produttiva, la formazione professionale nei reparti, l’applicazione dell’inquadramento unico ed inoltre nuova occupazione per i giovani e le donne». Ciò che il consiglio di fabbrica contestava era la volontà dell’azienda di avere mano libera nei processi di ristrutturazione; i lavoratori invece volevano non solo controllare quei processi ma avere un ruolo da protagonisti nell’organizzazione del lavoro. L’azienda si dimostrò subito intransigente, specie sul tema dell’occupazione dei giovani e delle donne, ritenute, queste ultime, incompatibili con i tipi di produzione della Sasib. Il consiglio di fabbrica decise così di prolungare, nel settembre del 1977, lo sciopero di 3 ore settimanali indetto in precedenza e inoltre cercò di allargare la lotta e “uscire dalla fabbrica” organizzando una serie di incontri con la cittadinanza e i diversi attori sociali (partiti, movimenti femminili e studenteschi) in cui discutere i punti della piattaforma. Queste iniziative sfociarono in una manifestazione davanti alla Sasib con i giovani disoccupati. Si denunciò allo stesso modo la scelta discriminatoria di non inserire in organico le lavoratrici donne. Il 3 febbraio 1978, dopo oltre 6 mesi dall’apertura della vertenza e 70 ore di sciopero, si raggiunse un accordo molto all’avanguardia, che pose al centro il miglioramento dei processi produttivi e l’innovazione nell’organizzazione del lavoro, che fece scuola a livello nazionale. Per quanto riguarda l’occupazione si stabilì l’assunzione di 30 unità, tra cui anche giovani al primo lavoro e 10 donne. L’accordo insistette poi sull’importanza dei livelli di qualificazione, da accrescere sempre più, attraverso un aggiornamento continuo della forza-lavoro, ma anche sulla necessità di far cooperare i lavoratori attraverso la formazione di squadre con all’interno la presenza di tutte le figure professionali interessate a quel tipo di produzione. Si cercò anche di integrare lavoro operaio e impiegatizio, rompendo così l’abituale divisione del lavoro. 

Gli anni Ottanta furono segnati da una strisciante crisi economica che comportò una riduzione dei consumi di tabacco e quindi una riduzione del lavoro. A ottobre del 1983 la direzione cominciò a far trapelare notizia di un centinaio di esuberi, per cui si ipotizzava la cassa integrazione. Secondo i lavoratori la riduzione del lavoro non era però solo imputabile alla crisi economica in atto ma anche al mancato rinnovamento del prodotto. Il consiglio di fabbrica decise di avviare interlocuzioni con i partiti per cercare una soluzione alla crisi ed evitare così la cassa integrazione. L’anno successivo, a settembre 1984, De Benedetti annunciò che la Sasib sarebbe diventata una holding industriale facente capo a due aziende del gruppo Cir: la Cortan e la Sogefi. Dall’altro lato le rappresentanze dei lavoratori continuarono ad essere preoccupate per il calo degli occupati e della qualità dei prodotti. A gennaio del 1985 la Sasib contava 1221 lavoratori (700 operai e 500 impiegati), circa 200 in meno rispetto al 1981 in cui erano 1429; la politica aziendale era quella di dare una buonuscita senza alcun rimpiazzo. Nello stesso mese venne votata in assemblea la piattaforma sindacale, i cui punti principali erano: la ricezione preventiva di informazioni sui progetti e sugli investimenti; la definizione di un programma di formazione professionale; l’attenzione alle condizioni di salute e ambientali; la ripresa delle assunzioni garantendo una quota ai giovani e ai lavoratori in mobilità. Dopo 25 ore di sciopero l’accordo venne siglato il 23 maggio 1985. L’anno successivo l’azienda vide crescere il fatturato del 13,6% e gli ordini del 10%; nonostante questo a febbraio del 1987 venne annunciata la cassa integrazione per 30 operai del montaggio macchine nel settore tabacco per 13 settimane. Il motivo ufficiale, sostenuto dall’azienda, era lo slittamento di alcune commesse. La decisione fu presa unilateralmente dall’azienda che non ascoltò le proposte alternative formulate dal consiglio di fabbrica. A marzo cominciarono gli scioperi degli straordinari per chiedere il reintegro dei cassintegrati, senza successo. Nello stesso anno, a maggio, la Sasib acquisì due nuove aziende; immediatamente dopo decise di collocare nuovamente in cassa integrazione 25 operai, sempre del montaggio, per due mesi; la causa questa volta era imputata al calo della domanda di tabacco. I sindacati proclamarono immediatamente lo sciopero degli straordinari e di tutte le collaborazioni non previste dal contratto. La stessa sorte toccò a 80 dipendenti nel 1989.